Ricorso  della  Regione  Marche,  in  persona  del presidente pro
tempore  della giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione
della  giunta regionale, n. 200 del 16 febbraio 2005, rappresentato e
difeso  dall'avv.  prof.  Stefano  Grassi  del  Foro  di  Firenze  ed
elettivamente  domiciliato presso lo studio di quest'ultimo, in Roma,
piazza  Barberini n. 12, come da procura speciale per atto del notaio
Stefano Sabatini di Ancona n. rep. 36.919 del 18 febbraio 2005;

    Contro  lo  Stato,  in  persona  del Presidente del Consiglio dei
ministri   pro   tempore,  per  la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale  degli  articoli  1, 2, 3, 4, 5, commi 3 e 4, 6, 7 e 8
del  d.l. 22 novembre 2004, n. 279, nel testo convertito e modificato
dalla  legge  28 gennaio 2005, n. 5 recante: disposizioni urgenti per
assicurare  la  coesistenza  tra le forme di agricoltura transgenica,
convenzionale e biologica (pubblicata nella G.U. n. 22 del 28 gennaio
2005), per violazione degli artt. 117, commi 1, 2, lett. s) 3, 4, 5 e
6 Cost. e 118 Cost., anche in relazione agli artt. 9, 32 e 33 Cost.

                              F a t t o

    1.  -  Il  d.l.  n. 279/2004, nel testo convertito dalla legge 28
gennaio  2005, n. 5 contiene una serie di disposizioni che la Regione
Marche   ritiene   lesive   della   propria   sfera   di   competenza
costituzionalmente garantita.
    Si tratta, in particolare, delle seguenti disposizioni:
        l'art. 1 (Finalita) prevede, al primo comma, che «il presente
decreto,   in  attuazione  della  Raccomandazione  della  Commissione
2003/556/CE, del 23 luglio 2003, definisce il quadro normativo minimo
per  la  coesistenza  tra le colture transgeniche, escluse quelle per
fini  di  ricerca  e sperimentazione autorizzate ai sensi del decreto
del  Ministro delle politiche agricole e forestali adottato, d'intesa
con  il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, in base
all'art. 8, comma 6, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, e
quelle  convenzionali  e  biologiche, al fine di non compromettere la
biodiversita'  dell'ambiente  naturale  e di garantire la liberta' di
iniziativa  economica,  il  diritto  di  scelta  dei consumatori e la
qualita' e la tipicita' della produzione agroalimentare nazionale».
    Il  secondo  comma  dell'art. 1  fornisce  poi  le definizioni di
coltivazioni  transgeniche,  biologiche e convenzionali, specificando
che  «ai  fini dell'attuazione del presente decreto si intendono per:
a)  colture  transgeniche: le coltivazioni che fanno uso di organismi
geneticamente modificati secondo la definizione di cui all'art. 3 del
decreto  legislativo 8 luglio 2003, n. 224; b) colture biologiche: le
coltivazioni  che adottano metodi di produzione di cui al regolamento
(CEE)  n. 2092/1991  del  Consiglio,  del  24 giugno 1991: c) colture
convenzionali;  le  coltivazioni che non rientrano in quelle definite
alle lettere a) e b)».
        l'art.   2   (Salvaguardia   del  principio  di  coesistenza)
introduce il principio della «necessaria non compromissione reciproca
tra  le varie colture, la cui coesistenza dovra' essere realizzata in
modo  da  tutelarne  le  peculiarita'  e  le specificita' produttive»
prevedendo che:
          «1)  le  colture di cui all'articolo 1 sono praticate senza
che  l'esercizio  di  una  di esse possa compromettere lo svolgimento
delle altre»;
          «2)  la  coesistenza  tra  le  colture di cui all'art. 1 e'
realizzata  in  modo  da  tutelarne le peculiarita' e le specificita'
produttive  e,  per quanto riguarda le caratteristiche delle relative
tipologie  di  sementi,  in modo da evitare ogni forma di commistione
tra le sementi transgeniche e quelle convenzionali e biologiche»;
          «2-bis  nel  rispetto  del  principio  di  cui  al comma 1,
l'introduzione   di   colture   transgeniche   avviene   senza  alcun
pregiudizio per le attivita' agricole preesistenti e senza comportare
per  esse  l'obbligo  di modificare o adeguare le normali tecniche di
coltivazione   e   allevamento.  E'  fatta  salva  ogni  disposizione
concernente le aree protette»;
          «3)   l'attuazione   delle   regole   di  coesistenza  deve
assicurare  agli  agricoltori,  agli  operatori  della  filiera ed ai
consumatori   la   reale   possibilita'   di   scelta   tra  prodotti
convenzionali,  biologici  e transgenici e, pertanto, le coltivazioni
transgeniche  sono  praticate  all'interno  di  filiere di produzione
separate rispetto a quelle convenzionali e biologiche».
        Le   conseguenti   misure   applicative   sono   disciplinate
dall'art. 3  («Applicazione  delle  misure  di  coesistenza»), per il
quale:
          «1)   al   fine  di  prevenire  il  potenziale  pregiudizio
economico  e  l'impatto  della  commistione tra colture transgeniche,
biologiche  e convenzionali, con decreto del Ministro delle politiche
agricole  e  forestali,  di natura non regolamentare, d'intesa con la
Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, emanato previo parere delle
competenti  Commissioni  parlamentari,  sono definite le norme quadro
per  la  coesistenza,  anche con riferimento alle aree di confine tra
regioni, sulla base delle linee guida predisposte dal Comitato di cui
all'art.  7.  Il  suddetto  decreto  e'  notificato  alla Commissione
europea nell'ambito della procedura prevista dalla direttiva 98/34/CE
del Consiglio, del 22 giugno 1998»;
          «2)  nell'ambito  dei  piani  regionali  di  coesistenza le
regioni  e  le  province autonome, in coerenza con la Raccomandazione
della   Commissione   2003/556/CE,   del   23  luglio  2003,  possono
individuare nel loro territorio una o piu' aree omogenee».
        L'art.   4   («Piani  di  coesistenza»)  -  che  definisce  i
cosiddetti   piani   di  coesistenza,  adottati  dalle  Regioni,  che
conterranno  le  regole  tecniche,  le  condizioni e le modalita' per
assicurare   la   coesistenza,   nel   rispetto   dei   principi   di
sussidiarieta',  differenziazione ed adeguatezza, che dovranno quindi
essere  osservati  nei  rapporti con gli enti locali (a seguito delle
modifiche  apportate  dalla  Camera  dei deputati, e' stata soppressa
l'indicazione  del  termine per l'adozione da parte delle regioni dei
rispettivi  piani, originariamente fissata al 31 dicembre 2005) - nel
testo definitivo prevede che:
          «1) le regioni e le province autonome adottano, con proprio
provvedimento,  il  decreto di cui all'art. 3; tale piano contiene le
regole  tecniche  per realizzare la coesistenza, prevedendo strumenti
che  garantiscono  la  collaborazione degli enti territoriali locali,
sulla  base  dei  principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  ed
adeguatezza;
          2)  le  regioni  e  le province autonome, nello svolgimento
delle  procedure  di  cui al comma 1, assicurano la partecipazione di
organizzazioni,  associazioni,  organismi ed altri soggetti portatori
di interessi in materia;
          3)   le  regioni  e  le  province  autonome  promuovono  il
raggiungimento,  su  base  volontaria,  di  accordi  tra imprenditori
agricoli, alfine di adottare le misure di gestione previste dal piano
di  coesistenza  di  cui al comma 1 per assicurare la coesistenza tra
colture transgeniche, convenzionali e biologiche;
          3-bis  le  regioni  e  le  province  autonome,  al  fine di
prevedere  un equo risarcimento per gli eventuali danni causati dalla
inosservanza  del  piano  di  coesione,  ferma restando la previsione
dell'articolo  5,  comma  1-bis  possono istituire un apposito fondo,
finalizzato  a  consentire il ripristino delle condizioni agronomiche
preesistenti  all'evento dannoso, il cui funzionamento e' determinato
con le modalita' stabilite dal decreto di cui all'art. 3, comma 1».
        Le   responsabilita'   sono   regolate  dalla  norma  di  cui
all'art. 5 («Responsabilita») che, fra l'altro, prevede che:
          «Chiunque intenda mettere a coltura organismi geneticamente
modificati  e'  tenuto  a  dare  la comunicazione di cui all'art. 30,
comma  2, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, ad elaborare
un  piano  di  gestione  aziendale per la coesistenza, sulla base del
piano  di  cui  all'art.  4,  nonche'  a conservare appositi registri
aziendali  contenenti  informazioni  relative alle misure di gestione
adottate»  (art. 5,  terzo  comma)  e  che  «le regioni e le province
autonome  provvedono a definire modalita' e procedure per la raccolta
e  la  tenuta, nell'ambito del Sistema informativo agricolo nazionale
(SIAN)  di  cui  all'art.  15 del decreto legislativo 30 aprile 1998,
n. 173,  dei dati e degli elementi di cui al comma 3» (art. 5, quarto
comma).
        Sono cosi' previste le sanzioni:
          «1. Fatte salve le disposizioni previste negli articoli 35,
comma  10,  e  36  del  decreto  legislativo  8  luglio 2003, n. 224,
chiunque  non  rispetti  le  misure previste dai provvedimenti di cui
all'art.  4,  comma  1,  e'  punito  con  la  sanzione amministrativa
pecuniaria da euro 2.500 a euro 25.000;
          2. chiunque non rispetti le disposizioni di cui all'art. 8,
e'  punito  con  l'arresto  da uno a due anni o con l'ammenda da euro
4.000 a euro 50.000» (art. 6).
        L'attivita' di valutazione, monitoraggio e informazione viene
puntualmente  disciplinata  dall'art. 7 («Valutazione, monitoraggio e
informazione sulla coesistenza»), prevedendo, in particolare, che
          «1.  E'  istituito  presso  il  Ministero  delle  politiche
agricole   e   forestali   il  "Comitato  consultivo  in  materia  di
coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche". 2.
L'organizzazione  e  le  modalita' di funzionamento del Comitato sono
definite   con  decreto  del  Ministro  delle  politiche  agricole  e
forestali,  di  concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela
del  territorio  e con il Ministro per gli affari regionali, d'intesa
con  la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e  le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano. Il Comitato e'
composto  da  esperti  qualificati  nella  materia  e  di documentata
indipendenza  da soggetti portatori di interessi nelle materie di cui
al presente decreto, di cui due nominati dal Ministro delle politiche
agricole  e  forestali, uno dal Ministro dell'ambiente e della tutela
del   territorio,   uno  designato  dal  Comitato  nazionale  per  la
biosicurezza  e  le  biotecnologie  e  quattro designati dalla citata
Conferenza,  nonche' due designati dalla Conferenza dei rettori delle
universita'  italiane  e  due  dal  Consiglio  per  la  ricerca  e la
sperimentazione  in agricoltura (CRA). 3. Il Comitato di cui al comma
1  propone,  in  coerenza  con  la  Raccomandazione della Commissione
2003/556/CE,  del  23  luglio  2003,  entro  120 giorni dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le
linee  guida  ai  fini  dell'adozione  del decreto di cui all'art. 3,
comma  1.  Il  Comitato provvede, inoltre a monitorare l'applicazione
dei   principi  e  delle  disposizioni  del  presente  decreto  ed  a
comunicare  all'Autorita'  nazionale  competente i risultati di detta
attivita'  di monitoraggio. Ai fini della predisposizione delle linee
guida  il  Comitato  acquisisce  i  pareri  dei  rappresentanti delle
organizzazioni  appartenenti al Tavolo agroalimentare di cui all'art.
20 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228. 4. Il Comitato ha,
altresi',    il    compito    di    proporre   le   misure   relative
all'omogeneizzazione delle modalita' di controllo. Le relative misure
sono  adottate  con  le modalita' di cui all'art. 3, comma 1. 5. Agli
esperti del Comitato non viene corrisposto alcun compenso in aggiunta
al  gettone  di  presenza  previsto ai sensi della vigente normativa.
Alla  corresponsione  del  gettone  di presenza, al funzionamento del
Comitato  e  alle  connesse  attivita',  il Ministero delle politiche
agricole   e   forestali   provvede,   nell'ambito   degli   ordinari
stanziamenti di bilancio, senza nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica».
        La  disciplina  transitoria  e'  regolata dall'art. 8 («Norme
transitorie») per il quale:
          «1. per il conseguimento delle finalita' di cui all'art. 1,
fino  all'adozione  dei  singoli  provvedimenti di cui all'art. 4, le
colture  transgeniche, ad eccezione di quelle autorizzate per fini di
ricerca e di sperimentazione, non sono consentite».
    2. - La Regione Marche ha deliberto di impugnare dinanzi a questa
Corte  il  d.l.  n. 279/2004, convertito dalla legge 28 gennaio 2005,
n. 5 con particolare, riferimento agli articoli 1, 2, 3, 4, 5 commi 3
e  4,  6,  7  e  8,  perche' lesivo dell'autonomia costituzionalmente
riconosciuta  e garantita dagli artt. 117, commi 1, 2, lett. s) 3, 4,
5  e  6  Cost. e 118, Cost., anche in relazione agli artt. 9, 32, 33,
72, 76 e 77, Cost. per i seguenti motivi di diritto.
    3.  -  Illegittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 5
terzo  e  quarto  comma,  6, 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004
n. 279,  convertito  con  modifiche nella legge 28 gennaio 2005, n. 5
per  violazione  dell'art. 117,  terzo  e  quarto  comma  Cost.,  con
riferimento agli artt. 77, nonche' 72, 76 e 117, primo comma, Cost.
    Le   disposizioni   del  decreto-legge  n. 279/2004,  cosi'  come
convertito  dalla  legge n. 5 del 2005, pongono, con l'utilizzo della
potesta' normativa d'urgenza di cui all'art. 77 Cost., una disciplina
diretta  ad  assicurare  la  coesistenza  tra le forme di agricoltura
transgenica,   convenzionale  e  biologica,  in  assenza  palese  dei
presupposti  di  straordinaria  necessita' ed urgenza richiesti dalla
norma costituzionale.
    La  presente  censura e' sicuramente ammissibile, con riferimento
alla  lesione  delle  competenze  regionali - invase dalla disciplina
impugnata anche per gli ulteriori motivi dedotti nel presente ricorso
-  in  quanto  la  violazione del corretto procedimento di formazione
dell'atto  normativo  di  livello  legislativo  incide sulla concreta
possibilita'  da  parte  della  Regione  ricorrente  di sviluppare la
propria   autonomia   legislativa   nella   materia   oggetto   della
decretazione d'urgenza.
    Come  si  dira'  meglio  nei  successivi  motivi  di  ricorso, la
disciplina  di  livello  legislativo introdotta dallo Stato invade la
competenza  regionale ad attuare i principi e le norme comunitarie in
materia  di  agricoltura.  Il  decreto  legge  si  basa, infatti, sul
presupposto   erroneo   della  necessita'  di  adeguarsi  a  principi
comunitari vincolanti.
    Il  decreto-legge  n. 279/2004  si  definisce  infatti  attuativo
«della  Raccomandazione  della  Commissione 2003/556/CE del 23 luglio
2003»,  provvedimento  intitolato  «Orientamenti  per  lo sviluppo di
strategie  nazionali e migliori pratiche per garantire la coesistenza
tra   colture  transgeniche,  convenzionali  e  biologiche»,  che  ha
indicato  le  linee  guida  per  la  coesistenza,  con atto meramente
indicativo  e  che non comporta «norme giuridicamente vincolanti» per
gli  Stati  membri  (Corte  di  giustizia Comunita' europee, 19 marzo
1998, n. 1/1996, in Racc., 1998, I, 1251), non potendo ledere la loro
sovranita' ne' comportare la lesione delle competenze interne statali
e  regionali  (come  evidenziato  anche  dalla recente giurisprudenza
della  Corte di cassazione, per la quale le "raccomandazioni" emanate
dalla  Commissione  europea costituiscono atti comunitari tipici, non
obbligatori,  preordinati allo scopo di assicurare il funzionamento e
lo sviluppo della comunita' europea, mediante la prospettazione della
soluzione  che appare preferibile adottare nell'ottica comunitaria e,
conseguentemente, essendo privi di carattere vincolante nei confronti
del  legislatore  nazionale,  il  giudice  ordinario  non e' tenuto a
disapplicare  la  norma  statale  che,  eventualmente,  si  ponga  in
contrasto con esse» (Cass. Civ., 5 dicembre 2003, n. 18620, in Giust.
Civ.,  Mass.,  2003,  f.  12; nelle discussioni parlamentari relative
alla conversione del d.l. n. 279/2004, cfr., anche le osservazioni di
G.  Russo  Spena,  «Atti  Parlamentari,  nella  seduta  n. 572 del 20
gennaio  2005  -  Aula, Camera dei deputati - secondo cui «non appare
esatto  quanto  specificato  all'articolo  1,  secondo  il  quale  il
presente decreto e' emanato in attuazione della raccomandazione della
Commissione  della  comunita' europea 2003/556/CE del 23 luglio 2003.
Si  attua  solo  cio'  che  e'  vincolante,  infatti, non cio' che e'
facoltativo.»).
    Conferma  tutto  cio'  la  stessa Raccomandazione, che il Governo
sostiene  di  «dover»  attuare,  quando,  al  punto  1.5,  precisa «i
presenti  orientamenti, sotto forma di raccomandazioni non vincolanti
rivolte agli Stati membri ...».
    Il  decreto-legge e' comunque privo dei presupposti di necessita'
ed  urgenza  per  la  sua  emanazione,  come  risulta  dalla semplice
constatazione   che   esso   prevede  che  le  regole  relative  alla
coesistenza  delle  colture  agricole  transgeniche,  convenzionali e
biologiche   siano   rinviate   all'adozione   di   un  provvedimento
successivo,  di  livello  regolamentare,  elaborato  sulla base di un
piano che le regioni saranno chiamate ad adottare.
    Si  utilizza  lo  strumento  del  decreto-legge  -  per  di  piu'
rinviando  in  termini  ampi  ed  inammissibili  (anche in violazione
dell'art. 76  Cost.) a successivi atti del Governo - per disciplinare
una  materia, come quella della coltivazione a pieno campo degli OGM,
che  la  stessa Direttiva 2001/18/CE dichiara estremamente delicata e
rischiosa,  tale,  in  ogni  caso,  da  rendere  necessarie attente e
prolungate verifiche prima che si concretizzi ogni decisione perche',
«gli  organismi  viventi  immessi  nell'ambiente  in grandi o piccole
quantita'  per scopi sperimentali o come prodotti commerciali possono
riprodursi  e  diffondersi oltre le frontiere nazionali, interessando
cosi'  altri  Stati  membri;  gli  effetti  di tali emissioni possono
essere   irreversibili»  (4°  «considerando»,  Direttiva  2001/18/CE,
cit.).
    A  cio'  si deve aggiungere che l'adozione della disciplina nelle
forme  del  decreto-legge  espropria  sia  la Regione ricorrente, sia
tutti  i cittadini e tutti i soggetti interessati del loro diritto di
partecipare  alla  definizione  delle  regole  di  coesistenza  delle
colture in questione.
    E' stata, infatti, respinta la proposta formulata nel corso della
seconda  lettura presso il Senato, di attuazione dei principi dettati
dalla  stessa normativa comunitaria (ed in particolare dagli articoli
9   e   32,   nonche'   dal   decimo  considerando,  della  direttiva
2001/18/CEE),  di  attivare  una  consultazione del pubblico, tramite
referendum  consultivo, prima di giungere alla disciplina legislativa
impugnata.
    L'adozione  di  una disciplina in via d'urgenza tende, invece, ad
escludere   l'applicazione   ditali   principi,  ribaditi  anche  dal
protocollo di Cartagena sulla biosicurezza (concluso a Montreal il 29
gennaio  2000  e  ratificato  dai  Paesi dell'Unione europea, nonche'
recepito   dall'art. 32   della  direttiva  2001/18/CE  citata),  che
l'art. 23,  comma 2, del protocollo che la legge n. 27 del 15 gennaio
2004   ha  esplicitamente  attuato,  prevedendo  che  «le  parti,  in
conformita'  delle  rispettive  regole e norme consultano i cittadini
nell'ambito  del  processo  decisionale relativo ad organismi viventi
modificati».
    Non  sembra,  in  buona  sostanza,  ammissibile  l'utilizzo della
decretazione  d'urgenza  con  riferimento a normative che esigono una
forma di consultazione e di dibattito ampio e condiviso, quale quello
che  si  puo' seguire soltanto nel pieno rispetto dell'iter ordinario
per  l'esercizio  delle competenze costituzionalmente attribuite agli
organi centrali e agli organi regionali (artt. 72 e 117, primo, terzo
e quarto comma, Cost.).
    4.  -  Illegittimita' degli articoli 1, 2, 3, 4, 5 terzo e quarto
comma,  6,  7  e  8  del  decreto-legge  22  novembre  2004,  n. 279,
convertito  con  modifiche  nella  legge  28  gennaio 2005, n. 5, per
violazione  dell'art. 117,  secondo,  terzo,  quarto  e  quinto comma
Cost., con riferimento all'art. 117, primo comma, Cost.
    La  disciplina  legislativa impugnata e' stata adottata senza che
lo  Stato  avesse individuato una adeguata base normativa, ed inoltre
e' stata adottata sulla base di un erroneo presupposto di fatto.
    La  disciplina  dettata  dal decreto-legge n. 279/2004, nel testo
convertito  dalla  legge 28 gennaio 2005, n. 5, si fonda, infatti, su
un  presupposto  erroneo,  consistente  nel  ritenere  plausibile  la
coesistenza  degli  OGM  con  altre  colture convenzionali al fine di
«garantire  la  liberta'  di  iniziativa  economica  ed il diritto di
scelta  dei consumatori», laddove, invece, immessi nell'ambiente, gli
OGM inquinano lo stesso irrimediabilmente, togliendo ogni liberta' di
iniziativa  economica  agli  agricoltori del prodotto convenzionale e
biologico,   e   divenendo   in   tal  modo  scelta  irreversibile  e
incontrollabile (come si desume dalle stesse discussioni parlamentari
per la conversione del d.l. n. 279/2004, dove si fa presente che «una
volta  che  ho  inquinato con la contaminazione il mio vicino o colui
che si trova a duecento metri o anche piu' lontano (vi sono ricerche,
secondo   le  quali  la  contaminazione  puo'  avvenire  anche  a  20
chilometri  di  distanza e, quindi, di 20 chilometri in 20 chilometri
si percorre tutta l'Italia), non si sa quale sara' il risultato della
liberazione  in  ambiente  naturale, quindi, non controllabile, degli
OGM»  (L. Marcora, «Atti Parlamentari», Seduta Camera dei duputati di
martedi'   14  dicembre  2004,  Resoconto  sommario  e  stenografico,
n. 559).
    La  norma  di  cui  all'art. 1,  inoltre,  che esclude dal quadro
normativo  minimo  per  la  coesistenza  tra  le colture transgeniche
quelle  per  fini di ricerca e sperimentazione, «non specifica che la
ricerca e la sperimentazione vanno praticate in ambienti confinati» e
in  via  preventiva  rispetto  ad  ogni  futura  disciplina in merito
(Zanella,  Assemblea,  Resoconto  stenografico  seduta  n. 571 del 19
gennaio 2005, Aula, Camera dei deputati, p. 78). Il «quadro normativo
minimo  per  la  coesistenza»  di  cui  parla  l'art. 1, della legge,
prescinde,  infatti,  completamente  dal  valore  fondamentale  della
ricerca scientifica e della sperimentazione.
    Il  che  significa  che tale «quadro» non tiene in alcun conto la
imprescindibile  verifica  sulla valutazione dell'impatto ambientale,
economico    e    agronomico   conseguente   all'introduzione   delle
coltivazioni  transgeniche,  sulla  messa  a  punto  e  l'adozione di
specifiche  tecniche  e  misure  volte  a  valutare tale coesistenza,
nonche'  sulla  possibilita'  di  isolare  sistemi di coltivazione di
prodotti  GM  senza  inquinare  quelli non GM. In altri termini, tali
attivita'   di  ricerca  e  sperimentazione  debbono  necessariamente
precedere  l'introduzione  della citata «coesistenza» e non seguirla,
come  avverrebbe  ove  si  procedesse  alla libera applicazione della
legge in esame.
    Nella  stessa  legge  manca,  oltretutto, un espresso riferimento
alla  verifica  piu' importante, preliminare ad ogni altra, e, cioe',
quella   sulla  irreversibilita'  dell'inquinamento  dell'ambiente  e
dell'agricoltura   una  volta  introdotti  gli  OGM,  in  quanto,  se
accertata renderebbe inutile ogni accorgimento produttivo e superfluo
ogni     provvedimento     ulteriore,     compresa    la    normativa
sull'etichettatura dei prodotti da avviare al consumo.
    Se  cosi' fosse (e lo stato attuale delle ricerche scientifiche e
relative  sperimentazioni  in materia induce a ritenere irreversibile
detto  inquinamento)  sarebbe  proprio  la  liberta'  di  scelta  del
consumatore a venir meno, stante l'inquinamento irreversibile con OGM
di  ogni  prodotto agricolo destinato al consumo, cosi' come verrebbe
meno la «liberta' di iniziativa economica», dal momento che la stessa
non  appartiene solo a chi vuole coltivare gli OGM, ma anche a coloro
che  vogliono  continuare  a  coltivare  il  prodotto convenzionale e
biologico.
    Da tale irreversibilita' ne uscirebbe, altresi', pregiudicato, in
maniera gravissima, anche l'ambiente e l'ecosistema.
    Ne'  sarebbe  possibile  sostenere  l'inammissibilita' del motivo
fondato  sulla  violazione  dell'art. 117, comma secondo, lett. e) ed
s), Cost. in quanto si tratterebbe di materie di esclusiva competenza
statale.   Infatti,  la  regione  ha  il  diritto-dovere  e,  quindi,
l'interesse  ad  intervenire,  nel  caso  di inadempimento statale, a
tutela  della popolazione di cui la stessa e' espressione in ordine a
materie e valori costituzionalmente garantiti.
    La   stessa   disciplina  comunitaria  afferma  che  gli  effetti
dell'emissione  nell'ambiente  di  organismi geneticamente modificati
possono  essere  irreversibili  e  che  la tutela della salute umana,
animale e vegetale dell'ambiente deve essere assicurata sia secondo i
principi della prevenzione e della precauzione che secondo i principi
etici  riconosciuti in uno Stato membro, prendendo in esame tutti gli
effetti  negativi possibili (diretti, indiretti, immediati, differiti
e  cumulativi a lungo termine) determinata dall'immissione deliberata
di  OGM, fornendo garanzia agli agricoltori che producono nell'ambito
di  produzione  a  qualita' certificata, consentendo a questi ultimi,
che   hanno   scelto   un'agricoltura   convenzionale,  di  difendere
dall'inquinamento  genetico le proprie colture (vedi in tal senso sia
la  Direttiva  del  Parlamento  del Consiglio 2001/18/CE del 12 marzo
2001,  sia  la  stessa Raccomandazione del 23 luglio 2003 dell'Unione
europea).
    L'adozione  di  una disciplina statale di attuazione dei principi
comunitari  e'  di  per  se'  illegittima  ove  intenda  impedire che
nell'ambito  di  ciascuna  Regione  si possano individuare criteri di
esclusione   delle  colture  transgeniche,  in  considerazione  delle
particolari   condizioni   del   territorio   regionale  che  rendono
inevitabile  la contaminazione e quindi impossibile la coesistenza, e
che   si  possono  risolvere  nel  porre  il  divieto  della  coltura
transgenica  come l'unica forma di tutela delle filiere di produzione
agricola  non  transgeniche  e  l'unica  soluzione  per garantire uno
sviluppo  rurale che consenta la biodiversita' e la libera scelta dei
consumatori.
    Il  d.l.  n. 279/2004,  intervenendo  (come  sara'  ulteriormente
sottolineato  nel  successivo  motivo di ricorso) con le disposizioni
censurate,   nella   materia   «agricoltura»,  invade  lo  spazio  di
competenza  delle  regioni  nell'attuazione  del  diritto comunitario
garantito dall'art. 117, quinto comma, Cost.
    Lo  Stato,  in altri termini, non e' legittimato ad esercitare la
propria funzione legislativa con la finalita' di attuare la normativa
comunitaria  al  di  fuori  delle materie attribuite in via esclusiva
dall'art. 117, secondo comma, Cost.
    In  definitiva, lo spazio di intervento regionale nell'attuazione
del  diritto  comunitario  non puo' essere leso proprio per garantire
l'attuazione   delle   linee   poste   dalla  stessa  Raccomandazione
n. 2003/556/CE  del  23  luglio 2003 richiamata dal d.l. n. 279/2004,
che,  si  ribadisce,  espressamente sottolinea che «le strategie e le
migliori  pratiche  devono  essere  elaborate  e  attuate  a  livello
nazionale o regionale» (art. 1.4), in osservanza pertanto del riparto
di competenze previsto dalla Costituzione.
    5.  -  Illegittimita' degli articoli 1, 2, 3, 4, 5 terzo e quarto
comma,  6,  7  e  8  del  22  novembre  2004,  n. 279, convertito con
modifiche   dalla   legge   28  gennaio  2005,  n. 5  per  violazione
dell'art. 117,  con  particolare riferimento al terzo e quarto comma,
Cost.
    La  disciplina  impugnata  si pone in contrasto con la competenza
residuale   delle   regioni   nella   materia  agricoltura,  a  norma
dell'art. 117,  quarto  comma Cost. (riconosciuta anche di recente da
questa  Corte nella sentenza 28 luglio 2004, n. 282, punto 3 parte in
diritto,  per  la  quale  la competenza regionale residuale garantita
dall'art. 117  Cost.  «si  presta  a  comprendere molti aspetti della
disciplina del settore agricolo (quarto comma)»).
    E'  pacifico che la disciplina relativa alle colture transgeniche
e alla loro compatibilita' con le altre colture rientra nella materia
agricoltura,  che  ha al suo centro il fenomeno produttivo di base, e
le attivita' definite dal codice civile all'art. 2135, come attivita'
agricole  correlate  con la coltivazione del fondo, la silvicoltura e
l'allevamento,  nonche'  l'insieme delle attivita' disciplinate dalle
norme  di  diritto  pubblico  che riguardano le condizioni ambientali
indispensabili per lo svolgimento della produzione agricola.
    Del  resto  la  nozione  di  agricoltura,  come  materia,  si  e'
affermata  attraverso il rinvio alla nozione comunitaria di «politica
agricola»  ed  in  particolare  all'art. 32  del Trattato dell'Unione
europea  (per il quale il mercato comune comprende l'agricoltura e il
commercio dei prodotti agricoli, intendendosi per prodotti agricoli i
prodotti  del  suolo,  dell'allevamento  e  della  pesca, come pure i
prodotti  di prima trasformazione che sono in diretta connessione con
tali prodotti, cosi' come enumerati nell'elenco di cui all'allegato I
del  Trattato). Il contenuto minimo della materia e' quindi correlato
al  dato  naturalistico del fenomeno produttivo, diretto e indiretto,
immediato o mediato, di prodotti alimentari per uomini ed animali.
    Risulta   quindi   evidente  come  la  immissione  nella  realta'
territoriale   della   coltura   e   delle   tecniche  di  produzioni
transgeniche  non  possa  non  essere  classificata all'interno della
materia   «agricoltura»   di  competenza  residuale  del  legislatore
regionale.
    Si   deve  anche  aggiungere  che  proprio  l'appartenenza  della
attivita'  disciplinata  alle attivita' riconducibili alla produzione
agricola   implica   la  necessita'  di  tener  conto  delle  realta'
territoriali  specifiche,  che  solo  il  legislatore regionale e' in
grado di considerare adeguatamente.
    Ed  infatti, la regolazione della produzione transgenica non puo'
non  tener  conto  delle  diversita'  territoriali,  in  taluni  casi
contraddistinte da una stretta interazione fra aree coltivate ed aree
naturali  e  boschive,  in  altri casi condizionate da una dimensione
aziendale «tale che la coesistenza non e' materialmente possibile per
il  grave danno economico derivante dal mantenimento di una fascia di
rispetto  che ridurrebbe pesantemente l'area coltivabile con prodotti
vendibili  come  biologici  o  con  segni di qualita» (Vicini, Seduta
Aula,  Senato  n. 725 del 25 gennaio 2005, Resoconto stenografico, p.
12), per cui «dovrebbero essere i territori, dal basso, ad effettuare
le scelte piu' opportune su tale delicata materia, in modo coordinato
e  razionale»  (ivi,  p. 12), secondo quanto evidenziato dalla stessa
Raccomandazione  2003/556/CE  del  23  luglio  2003,  per la quale la
gestione  delle  colture  OGM  deve  tener  conto  «delle diferenze a
livello   regionale   (condizioni   climatiche,  topografia,  modelli
produttivi,  sistemi  di  rotazione,  strutture  aziendali,  quota di
colture  Gm  in una data regione) che possono influenzare il grado di
commistione  tra  colture  Gm  e  non Gm» (art. 2.1.6. - Specificita'
delle  misure  -  della Raccomandazione 2003/556/CE), il che comporta
che  «le  strategie  e le migliori pratiche devono essere elaborate e
attuate a livello nazionale o regionale, con la partecipazione attiva
degli  agricoltori e degli altri soggetti interessati e tenendo conto
di fattori nazionali e regionali» (art. 1.4. - Sussidiarieta' - della
Raccomandazione 2003/556/CE).
    Non  e' quindi un caso che la competenza regionale sulla gestione
delle   agrobiotecnologie  abbia  trovato  conferma  con  la  riforma
costituzionale  operata  tramite  la  formulazione del nuovo titolo V
della  Costituzione,  che  ha  attribuito  alle regioni la competenza
esclusiva   nella  materia  «agricoltura»  (art. 117,  quarto  comma,
Cost.).
    E',  infatti,  evidente  che  solo le regioni possono adottare le
misure   necessarie   ad  assicurare  la  coesistenza  tra  forme  di
agricoltura  transgenica,  convenzionale  e biologica, «stabilendo le
aree  «OGM  free»,  le  quote di colture OGM, il numero ed il tipo di
varieta'  vegetali  che  devono coesistere, le distanze tra le aree a
coltivazione  transgenica  e  quelle a coltivazione convenzionale, le
pratiche  regionali  di  gestione  delle  imprese  agricole,  nonche'
promuovere  la  stipula  di  contratti tra gli agricoltori al fine di
favorire  la  coesistenza  tra le differenti forme di agricoltura nel
territorio  e  nelle  filiere alimentari» (Vicini, Seduta Aula Senato
n. 725 del 25 gennaio 2005, Resoconto stenografico, p. 12).
    Di  qui  l'illegittimita'  per  violazione  dell'art. 117, quarto
somma,  Cost.  dell'art. 1 del d.l. n. 279/2004, nel testo convertito
dalla  legge  28  gennaio  2005,  n. 5,  laddove «definisce il quadro
normativo  minimo  per  la  coesistenza  tra le colture transgeniche,
escluse  quelle per fini di ricerca e sperimentazione, nonche' quelle
convenzionali  e  biologiche,  al  fine  di  garantire la liberta' di
iniziativa economica e il diritto di scelta dei consumatori» (art. 1,
primo comma) e delle successive norme che ne specificano i contenuti.
    L'incompetenza  del  legislatore  statale  si  deve contestare in
particolare:
        per l'art. 2, che, nel rispetto del principio di coesistenza,
specifica  che l'introduzione degli OGM non deve comportare l'obbligo
di  modificare  o  adeguare  le  normali  tecniche  di coltivazione e
allevamento   (secondo   comma)   ed   esige   che  «le  coltivazioni
transgeniche  sono  praticate  all'interno  di  filiere di produzione
separate rispetto a quelle convenzionali e biologiche» (terzo comma):
si  tratta  di disciplina dell'attivita' agricola che solo la Regione
puo' dettare;
        per  l'art.  3, nella parte in cui demanda all'adozione di un
decreto  ministeriale la stessa definizione delle norme quadro (primo
comma),    nonche'   nella   parte   in   cui   limita   le   regioni
nell'individuazione delle aree omogenee (secondo comma); in quanto si
attribuisce  ad  un  organo  statale  una  competenza  che  limita le
autonome scelte del legislatore regionale;
        per  l'art.  4,  nella  parte in cui prescrive l'adozione del
piano  di coesistenza (primo comma), nonche' la promozione di accordi
tra conduttori agricoli (secondo comma);
        per  l'art. 5, nella parte in cui prescrive l'elaborazione di
un  piano  di  gestione  aziendale  e  la  conservazione  di appositi
registri  aziendali  (terzo  comma) e nella parte in cui prescrive la
definizione  delle  procedure  e delle modalita' per la raccolta e la
tenuta  dei  dati  ricavabili  dai registri aziendali di cui al terzo
comma (quarto comma);
        per  l'art.  8,  laddove circoscrive il divieto delle colture
transgeniche sancendone la transitorieta': tutte norme, queste citate
nel  presente  capoverso, che dettano una disciplina di dettaglio per
le attivita' di produzione agricola che solo il legislatore regionale
puo' definire.
    La  stessa  composizione  del  Comitato  consultivo in materia di
coesistenza  tra  colture  transgeniche,  convenzionali  e biologiche
stabilita   dall'art.  7  -  quattro  rappresentanti  delle  regioni,
altrettanti  del Governo (due designati dal Ministero delle politiche
agricole  e forestali, uno dal Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio ed uno dal Comitato nazionale per la biosicurezza e le
biotecnologie),  due designati dalla Conferenza dei rettori e due dal
Consiglio  per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA) -
privilegiando  la  rappresentanza di membri statali rispetto a quelli
regionali   nonche'   individuando  nello  stesso  Comitato  l'organo
competente  a  proporre  le  linee  guida  ai  fini dell'adozione del
decreto di cui all'art. 3, che dovra' definire le norme quadro per la
coesistenza,  effettua  una palese sottrazione alle regioni (titolari
della  competenza legislativa esclusiva in materia «agricoltura» e di
competenza   legislativa   concorrente   sull'«alimentazione»),   del
controllo del settore, riservando agli organi regionali solo un ruolo
esecutivo  marginale  nella  regolazione degli OGM e sul loro impatto
sull'attivita'  e  le  produzioni  agricole.  Di  qui  la  denunciata
violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
    6.  -  Illegittimita'  degli  articoli  1,  2,  secondo comma, 3,
secondo  comma,  5,  terzo e quarto comma, 7, quarto comma e 8 del 22
novembre  2004,  n. 279  nel  testo convertito dalla legge 28 gennaio
2005, n. 5, per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, anche
in  relazione all'art. 117, secondo comma lett. s), Cost., nonche' in
relazione agli articoli 9, 32 Cost. e 33 Cost.
    In  ogni  caso,  la  normativa  impugnata  invade  lo  spazio  di
intervento  delle  regioni  nella materia del diritto alla salute, di
competenza  concorrente a norma dell'art. 117, terzo comma Cost., che
legittima  lo  Stato alla sola formulazione dei principi fondamentali
della  materia  (sentenza  26  gennaio  2005, n. 30, punto 3 parte in
diritto,  per  la  quale  «nelle  materie  di potesta' concorrente la
normativa  statale  deve  limitarsi  alla determinazione dei principi
fondamentali,  spettando  invece  alle regioni la regolamentazione di
dettaglio,  trattandosi di fonti tra le quali non vi sono rapporti di
gerarchia, ma di separazione di competenza»).
    E',  al  contrario,  evidente  che  le disposizioni impugnate non
definiscono  principi,  ma prescrivono misure puntuali e dettagliate,
laddove stabiliscono che «le coltivazioni transgeniche sono praticate
all'interno  di  filiere  di  produzione  separate  rispetto a quelle
convenzionali e biologiche» (art. 2, secondo comma), che le regioni e
le  province  autonome «possono individuare nel loro territorio una o
piu'  aree omogenee» (art. 3, secondo comma), la tenuta e la raccolta
di  registri  aziendali  con  le informazioni relative alle misure di
gestione aziendale (art. 5, terzo e quarto comma), le modalita' delle
misure   relative  all'omogeneizzazione  delle  stesse  modalita'  di
controllo  (art. 7, quarto comma), l'arco temporale del divieto delle
colture transgeniche (art. 8).
    Si  osserva,  inoltre, che la «liberta' di iniziativa economica e
privata»  pur  costituendo  uno  dei fini della normativa introdotta,
sacrifica  la stessa tutela della salute e della ricerca scientifica,
e  percio'  rende  le  norme  impugnate in grado di ledere dei valori
costituzionalmente garantiti, e percio' illegittime (come chiarito da
questa Corte, nella sentenza 26 gennaio 2005, n. 31, punto 3 parte in
diritto,  per la quale «questa Corte, nella sentenza n. 423 del 2004,
ha  affermato  che la ricerca scientifica deve essere considerata non
solo  una "materia", ma anche un "valore" costituzionalmente protetto
(art. 9 e 33 della Costituzione), in quanto tale in grado di rilevare
a prescindere da ambiti di competenze rigorosamente delimitati»).
    In  particolare,  l'art.  1  del  d.l. n. 279/2004, prevedendo il
quadro normativo minimo per la coesistenza non tiene conto del valore
fondamentale  della ricerca scientifica, le cui valutazioni avrebbero
dovuto  essere  considerate  in  via  preliminare  per  la necessaria
verifica  dell'impatto  ambientale che deriva dall'introduzione degli
OGM,  anche  sotto il profilo dell'irreversibilita' dell'inquinamento
cosi' provocato.
    Lo  stesso Comitato economico e sociale dell'Unione europea, «nel
parere  espresso lo scorso 11 gennaio, ha ritenuto che nel territorio
italiano la coesistenza costituisca un obiettivo estremamente costoso
e,  di  fatto,  impraticabile, posto che, allo stato, non sono ancora
disponibili studi approfonditi e sufficientemente affidabili relativi
all'impatto ambientale degli organismi geneticamente modificati sulla
flora autoctona e la biodiversita» (De Petris, seduta 282, 25 gennaio
2005, Commissione agricoltura e produzione agroalimentare, Senato).
    Di qui la violazione di altro valore costituzionalmente protetto,
la  tutela  dell'ambiente,  che non puo' essere prerogativa esclusiva
dello Stato laddove incida su interessi di competenza regionale.
    Questa  Corte, anche di recente, ha precisato che «secondo l'art.
117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  lo Stato ha legislazione
esclusiva  in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e dei
beni  culturali. Tuttavia questa Corte ha precisato che non tutti gli
ambiti specificati nel secondo comma dell'art. 117 possono, in quanto
tali,  configurarsi  come  «materie»  in  senso  stretto, poiche', in
alcuni casi, si tratta piu' esattamente di competenze del legislatore
statale  idonee ad investire una pluralita' di materie, ed ha escluso
la  configurabilita'  di una "materia" riconducibile in senso tecnico
in  via esclusiva alla «tutela dell'ambiente», qualficando l'ambiente
come  "valore"  costituzionalmente  protetto,  che,  in  quanto tale,
delinea  una  sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si
manifestano  competenze  diverse,  che  possono ben essere regionali,
spettando  allo  Stato  il  compito  di  fissare  standard  di tutela
uniformi  sull'intero territorio nazionale (sentenze n. 96 del 2003 e
n. 407  del  2002)»  (Corte  costituzionale,  22 luglio 2004, n. 259,
punto  2  parte  in diritto; v., in precedenza, sentenze n. 307 del 7
ottobre 2003, n. 407 del 26 luglio 2002, n. 222 del 24 giugno 2003).
    7.  -  Illegittimita'  del  d.l.  22  novembre  2004,  n. 279, in
relazione  agli  articoli 3, comma 1, 4, comma 3-bis, 7, commi 2 e 4,
per  violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost. e in relazione agli
articoli  5,  terzo  e  quarto comma e 7 per violazione dell'art. 118
Cost. Violazione art. 76 Cost.
    7.1.  - Il d.l. n. 279/2004 viola l'art. 117, sesto comma, Cost.,
nella   parte   in   cui   demanda   ad   un   decreto   ministeriale
l'individuazione  delle  «norme  quadro  per la coesistenza» (art. 3,
primo  comma),  dovendosi  escludere  la possibilita' per lo Stato di
intervenire  nella  materia  oggetto  di intervento (agricoltura) con
atti  normativi  di  rango sublegislativo, «anche alla luce di quanto
espressamente  disposto  dall'art.  8,  comma 6, della legge 5 giugno
2003,  n. 131  (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il quale
stabilisce  che  «nelle  materie  di cui all'art. 117, terzo e quarto
comma,  della  Costituzione,  non possono essere adottati gli atti di
indirizzo  e  di coordinamento di cui all'art. 8 della legge 15 marzo
1997,  n. 59,  e  all'art.  4  del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 112» (Corte costituzionale, 27 ottobre 2003, n. 329, punto 4 della
parte in diritto).
    Se  con  tale  successivo  provvedimento  del  Governo, di natura
giuridica   non  chiara  ed  incerta,  il  Governo  medesimo  intende
autodelegare  se  stesso, superando il dettato dell'art. 15, comma 2,
lett.  a),  della legge n. 400 del 1988, che vieta il conferimento di
deleghe legislative tramite decreto-legge, e' necessario far rilevare
che,  per  l'art.  76 della Costituzione, solo con legge ordinaria di
delega   il  Governo  puo'  attivare  propri  interventi  legislativi
successivi delegati.
    Anche  questa  Corte (con la sentenza n. 63 del 17 marzo 1998) ha
puntualizzato  che  «l'atto  di  conferimento  al  Governo  di delega
legislativa  puo'  avvenire solo con legge» (punto 7.3 della parte in
diritto).
    Ne' puo' aver rilevanza la precisazione della norma che si tratta
di  un decreto «non regolamentare» (art. 3, primo comma), dal momento
che  tale formulazione, oltre a confermare la del tutto anomala fonte
del diritto che si vuole introdurre, non puo' giustificare tout court
la  negazione del carattere regolamentare a detto decreto «poiche' la
mancata  indicazione  espressa  della  natura  regolamentare non puo'
assumere  valore  decisivo  ai  fini  della  relativa  qualificazione
normativa» (Cons. Stato, Ad. Gen., 26 settembre 1996, n. 135).
    Il   decreto   ministeriale  previsto  non  puo'  neppure  essere
considerato  mero  atto  di  coordinamento  tecnico  dal  momento che
interviene per individuare previsioni legislative che si traducono in
«norme  quadro  per  la coesistenza» (C. Franci, «Atti Parlamentari»,
seduta  Camera dei deputati n. 572 del 20 gennaio 2005, evidenzia, al
riguardo, che «Il Governo, con questo emendamento, cerca di risolvere
parzialmente  il  problema, precisando che si tratta di un decreto di
natura non regolamentare, tentando in tal modo, di dare risposta alle
osservazioni che anche la prima Commissione rivolge al provvedimento,
e  che  troviamo  allegata  al  testo in esame. La Commissione affari
costituzionali  afferma,  infatti,  che  "(...) considerato che, dopo
l'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3,
(...)  e' venuta meno per lo Stato la possibilita' di emanare atti di
indirizzo  e coordinamento nelle materie di cui all'art. 117, terzo e
quarto comma, della Costituzione (...) e che la Corte costituzionale,
nelle  sentenze  n. 376  del  2003  e  n. 17  del 2004, ha avviato un
indirizzo  giurisprudenziale  che  sembra  consentire  allo Stato, in
relazione  alle  materie  rientranti,  a  titolo  sia  residuale  che
concorrente,  nella competenza regionale, soltanto l'adozione di atti
di  mero  coordinamento tecnico (...)". Un decreto ministeriale certo
non  sarebbe un atto di mero coordinamento tecnico»). Ne' e' in alcun
modo   sostenibile  che  le  norme  previste  dal  decreto  impugnato
costituiscano   mere   norme  tecniche.  Cio'  non  solo  perche'  si
riferiscono  a discipline complesse, ma chiaramente connesse a scelte
discrezionali  ed  a  valutazioni  comparative  tra  gli interessi in
gioco; ma anche perche' le stesse modalita' della loro produzione (in
particolare  la  previsione  dell'accordo  o  intesa  con le regioni)
implica  la  sicura ammissione della natura di disciplina normativa e
non  di scelta tecnica che le previsioni sulla «coesistenza» dovranno
assumere.
    Del   resto   la  giurisprudenza  di  questa  Corte  «in  diverse
occasioni,  ha avuto modo di evidenziare come - gia' sotto la vigenza
del  vecchio  testo  dell'art.  117 della Costituzione - lo Stato non
potesse  imporre  vincoli  alle  regioni  nelle  materie  di  propria
competenza  se non mediante una legge, e non, invece, per mezzo di un
atto regolamentare. Le regioni, infatti, «non sono soggette, in linea
di  principio,  alla disciplina dettata con i regolamenti governativi
(sentenza  n. 507  del  2000;  nello stesso senso, si vedano anche le
sentenze  n. 250  del 1996 e n. 482 del 1995)» (Corte costituzionale,
22 luglio 2003, n. 267, punto 3 parte in diritto).
    7.2.  - Analoga violazione si rinviene: nell'art. 4, comma 3-bis,
laddove   demanda   allo   stesso   decreto   previsto   dall'art.  3
l'individuazione delle modalita' di funzionamento dell'apposito fondo
per   indennizzare   i   danni  causati  dall'inquinamento  genetico;
nell'art.  7,  comma  2,  che  demanda  ad  un  decreto  ministeriale
l'organizzazione   e  le  modalita'  di  funzionamento  del  Comitato
consultivo  in  materia  di  coesistenza  tra  colture  transgeniche,
convenzionali  e  biologiche  istituito  dal primo comma dello stesso
art.  7; nell'art. 7, comma 4, che demanda al decreto ministeriale di
cui  all'art. 3, primo comma l'adozione delle modalita' per le misure
relative all'omogeneizzazione delle modalita' di controllo.
    Per  quanto  concerne  la  norma  di  cui  all'art. 6 (sanzioni),
vertendo,  come evidenziato, nella materia agricoltura, di competenza
residuale,   e'  proprio  questa  Corte  ad  aver  chiarito  che  «e'
orientamento  saldo  nella  giurisprudenza  di  questa  Corte  che la
competenza   sanzionatoria   amministrativa   non   e'  in  grado  di
autonomizzarsi   come   materia   in  se',  ma  accede  alle  materie
sostanziali (cfr. sentenze n. 361 del 2003; n. 28 del 1996; n. 85 del
1996;  n. 187  del  1996;  n. 115  del  1995; n. 60 del 1993)» (Corte
costituzionale, 13 gennaio 2004, n. 12, punto 4 parte in diritto). Di
qui  l'illegittimita' costituzionale anche di queste previsioni della
legge impugnata, per contrasto con le norme indicate in rubrica.
    Sempre  sotto  il profilo della violazione degli artt. 117, sesto
comma e 118 Cost., si devono denunciare le norme di cui agli articoli
5,   terzo,  e  quarto  comma,  sulla  tenuta  dei  registri  per  le
informazioni  relative  alle  misure  di  gestione  adottate e di cui
all'art.  7,  che,  per  l'attivita'  di monitoraggio, informazione e
valutazione,  istituisce presso il Ministero delle politiche agricole
e  forestali  il  Comitato  consultivo  in materia di coesistenza tra
colture   transgeniche,  convenzionali  e  biologiche,  disciplinando
funzioni   amministrative  relative  ad  una  materia  di  competenza
legislativa regionale.
    Infatti,  «come  questa Corte ha gia' piu' ampiamente argomentato
(cfr.  sentenze  numeri  43,  69, 70, 71, 72, 73 e 112 del 2004), con
l'avvenuta  riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, i
mutati  criteri  di  riparto  delle  funzioni  amministrative si sono
articolati,  per  un  verso,  nell'attribuzione generale delle stesse
all'ente  comunale  e, per l'altro, nella flessibilita' assicurata al
sistema  della  clausola  in  base  alla quale si prevede, al fine di
"assicurarne  l'esercizio  unitario",  il  conferimento  di  funzioni
amministrative  a  province,  citta'  metropolitane, regioni e Stato,
"sulla  base  dei  principi  di sussidiarieta', e differenziazione ed
adeguatezza"  (art.  118,  primo  comma,  della  Costituzione). Sulla
scorta  della  compenetrazione  tra  questi  due criteri, la concreta
allocazione  delle funzioni amministrative ai vari livelli di governo
non   puo'  prescindere  da  un  intervento  legislativo  (statale  o
regionale,  a seconda della ripartizione della competenza legislativa
in  materia),  che deve, di volta in volta, manifestare la prevalenza
del  criterio  generale  di allocazione al livello comunale ovvero la
necessaria   preminente   considerazione  di  esigenze  unitarie  che
impongono  una  allocazione diversa» (Corte costituzionale, 11 giugno
2004, n. 172, punto 4.1 parte in diritto).
    Nessuna giustificazione adeguata e nessuna competenza legislativa
statale  e'  in  grado di giustificare sotto il profilo denunciato le
norme  di  cui  agli  artt.  5,  commi  3  e 4, nonche' 7 della legge
impugnata.
    7.3.  -  Ancor  piu'  la  disciplina  impugnata  e'  da  ritenere
illegittima, in quanto, in materia di competenza regionale, individua
una  modalita'  dell'intervento normativo attuativo, che sottrae alle
regioni  la  stessa  scelta  della  fonte  del  diritto  da adottare,
imponendo un procedimento speciale nel quale solo parzialmente (ed in
termini vincolati, sia nella forma sia nella tipologia degli atti) le
regioni possono partecipare.
    Cio'  vale sia per la previsione dell'art. 3 («Applicazione delle
misure  di  coesistenza»),  sia, in particolare, per la previsione di
cui all'art. 4 («Piani di coesistenza») che detta le modalita' con le
quali  la  regione  deve  adottare  «provvedimenti» che definiscano i
piani  di  coesistenza.  La disciplina statale e' illegittima sia nel
prevedere  i  modi  di  adozione  di  tali  provvedimenti,  sia nello
stabilire  che  solo con un «provvedimento» e non con una legge (come
discrezionalmente  e  nel  rispetto  dei  principi  internazionali  e
comunitari  in materia sarebbe possibile) le regioni possano adottare
tali piani.