Ricorso della Regione Marche, in persona del presidente pro tempore della giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione della giunta regionale, n. 200 del 16 febbraio 2005, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Stefano Grassi del Foro di Firenze ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo, in Roma, piazza Barberini n. 12, come da procura speciale per atto del notaio Stefano Sabatini di Ancona n. rep. 36.919 del 18 febbraio 2005; Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, commi 3 e 4, 6, 7 e 8 del d.l. 22 novembre 2004, n. 279, nel testo convertito e modificato dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5 recante: disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica (pubblicata nella G.U. n. 22 del 28 gennaio 2005), per violazione degli artt. 117, commi 1, 2, lett. s) 3, 4, 5 e 6 Cost. e 118 Cost., anche in relazione agli artt. 9, 32 e 33 Cost. F a t t o 1. - Il d.l. n. 279/2004, nel testo convertito dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5 contiene una serie di disposizioni che la Regione Marche ritiene lesive della propria sfera di competenza costituzionalmente garantita. Si tratta, in particolare, delle seguenti disposizioni: l'art. 1 (Finalita) prevede, al primo comma, che «il presente decreto, in attuazione della Raccomandazione della Commissione 2003/556/CE, del 23 luglio 2003, definisce il quadro normativo minimo per la coesistenza tra le colture transgeniche, escluse quelle per fini di ricerca e sperimentazione autorizzate ai sensi del decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali adottato, d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, in base all'art. 8, comma 6, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, e quelle convenzionali e biologiche, al fine di non compromettere la biodiversita' dell'ambiente naturale e di garantire la liberta' di iniziativa economica, il diritto di scelta dei consumatori e la qualita' e la tipicita' della produzione agroalimentare nazionale». Il secondo comma dell'art. 1 fornisce poi le definizioni di coltivazioni transgeniche, biologiche e convenzionali, specificando che «ai fini dell'attuazione del presente decreto si intendono per: a) colture transgeniche: le coltivazioni che fanno uso di organismi geneticamente modificati secondo la definizione di cui all'art. 3 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224; b) colture biologiche: le coltivazioni che adottano metodi di produzione di cui al regolamento (CEE) n. 2092/1991 del Consiglio, del 24 giugno 1991: c) colture convenzionali; le coltivazioni che non rientrano in quelle definite alle lettere a) e b)». l'art. 2 (Salvaguardia del principio di coesistenza) introduce il principio della «necessaria non compromissione reciproca tra le varie colture, la cui coesistenza dovra' essere realizzata in modo da tutelarne le peculiarita' e le specificita' produttive» prevedendo che: «1) le colture di cui all'articolo 1 sono praticate senza che l'esercizio di una di esse possa compromettere lo svolgimento delle altre»; «2) la coesistenza tra le colture di cui all'art. 1 e' realizzata in modo da tutelarne le peculiarita' e le specificita' produttive e, per quanto riguarda le caratteristiche delle relative tipologie di sementi, in modo da evitare ogni forma di commistione tra le sementi transgeniche e quelle convenzionali e biologiche»; «2-bis nel rispetto del principio di cui al comma 1, l'introduzione di colture transgeniche avviene senza alcun pregiudizio per le attivita' agricole preesistenti e senza comportare per esse l'obbligo di modificare o adeguare le normali tecniche di coltivazione e allevamento. E' fatta salva ogni disposizione concernente le aree protette»; «3) l'attuazione delle regole di coesistenza deve assicurare agli agricoltori, agli operatori della filiera ed ai consumatori la reale possibilita' di scelta tra prodotti convenzionali, biologici e transgenici e, pertanto, le coltivazioni transgeniche sono praticate all'interno di filiere di produzione separate rispetto a quelle convenzionali e biologiche». Le conseguenti misure applicative sono disciplinate dall'art. 3 («Applicazione delle misure di coesistenza»), per il quale: «1) al fine di prevenire il potenziale pregiudizio economico e l'impatto della commistione tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali, con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di natura non regolamentare, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, emanato previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, sono definite le norme quadro per la coesistenza, anche con riferimento alle aree di confine tra regioni, sulla base delle linee guida predisposte dal Comitato di cui all'art. 7. Il suddetto decreto e' notificato alla Commissione europea nell'ambito della procedura prevista dalla direttiva 98/34/CE del Consiglio, del 22 giugno 1998»; «2) nell'ambito dei piani regionali di coesistenza le regioni e le province autonome, in coerenza con la Raccomandazione della Commissione 2003/556/CE, del 23 luglio 2003, possono individuare nel loro territorio una o piu' aree omogenee». L'art. 4 («Piani di coesistenza») - che definisce i cosiddetti piani di coesistenza, adottati dalle Regioni, che conterranno le regole tecniche, le condizioni e le modalita' per assicurare la coesistenza, nel rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, che dovranno quindi essere osservati nei rapporti con gli enti locali (a seguito delle modifiche apportate dalla Camera dei deputati, e' stata soppressa l'indicazione del termine per l'adozione da parte delle regioni dei rispettivi piani, originariamente fissata al 31 dicembre 2005) - nel testo definitivo prevede che: «1) le regioni e le province autonome adottano, con proprio provvedimento, il decreto di cui all'art. 3; tale piano contiene le regole tecniche per realizzare la coesistenza, prevedendo strumenti che garantiscono la collaborazione degli enti territoriali locali, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza; 2) le regioni e le province autonome, nello svolgimento delle procedure di cui al comma 1, assicurano la partecipazione di organizzazioni, associazioni, organismi ed altri soggetti portatori di interessi in materia; 3) le regioni e le province autonome promuovono il raggiungimento, su base volontaria, di accordi tra imprenditori agricoli, alfine di adottare le misure di gestione previste dal piano di coesistenza di cui al comma 1 per assicurare la coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche; 3-bis le regioni e le province autonome, al fine di prevedere un equo risarcimento per gli eventuali danni causati dalla inosservanza del piano di coesione, ferma restando la previsione dell'articolo 5, comma 1-bis possono istituire un apposito fondo, finalizzato a consentire il ripristino delle condizioni agronomiche preesistenti all'evento dannoso, il cui funzionamento e' determinato con le modalita' stabilite dal decreto di cui all'art. 3, comma 1». Le responsabilita' sono regolate dalla norma di cui all'art. 5 («Responsabilita») che, fra l'altro, prevede che: «Chiunque intenda mettere a coltura organismi geneticamente modificati e' tenuto a dare la comunicazione di cui all'art. 30, comma 2, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, ad elaborare un piano di gestione aziendale per la coesistenza, sulla base del piano di cui all'art. 4, nonche' a conservare appositi registri aziendali contenenti informazioni relative alle misure di gestione adottate» (art. 5, terzo comma) e che «le regioni e le province autonome provvedono a definire modalita' e procedure per la raccolta e la tenuta, nell'ambito del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN) di cui all'art. 15 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173, dei dati e degli elementi di cui al comma 3» (art. 5, quarto comma). Sono cosi' previste le sanzioni: «1. Fatte salve le disposizioni previste negli articoli 35, comma 10, e 36 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, chiunque non rispetti le misure previste dai provvedimenti di cui all'art. 4, comma 1, e' punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.500 a euro 25.000; 2. chiunque non rispetti le disposizioni di cui all'art. 8, e' punito con l'arresto da uno a due anni o con l'ammenda da euro 4.000 a euro 50.000» (art. 6). L'attivita' di valutazione, monitoraggio e informazione viene puntualmente disciplinata dall'art. 7 («Valutazione, monitoraggio e informazione sulla coesistenza»), prevedendo, in particolare, che «1. E' istituito presso il Ministero delle politiche agricole e forestali il "Comitato consultivo in materia di coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche". 2. L'organizzazione e le modalita' di funzionamento del Comitato sono definite con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e con il Ministro per gli affari regionali, d'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Il Comitato e' composto da esperti qualificati nella materia e di documentata indipendenza da soggetti portatori di interessi nelle materie di cui al presente decreto, di cui due nominati dal Ministro delle politiche agricole e forestali, uno dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, uno designato dal Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie e quattro designati dalla citata Conferenza, nonche' due designati dalla Conferenza dei rettori delle universita' italiane e due dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA). 3. Il Comitato di cui al comma 1 propone, in coerenza con la Raccomandazione della Commissione 2003/556/CE, del 23 luglio 2003, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le linee guida ai fini dell'adozione del decreto di cui all'art. 3, comma 1. Il Comitato provvede, inoltre a monitorare l'applicazione dei principi e delle disposizioni del presente decreto ed a comunicare all'Autorita' nazionale competente i risultati di detta attivita' di monitoraggio. Ai fini della predisposizione delle linee guida il Comitato acquisisce i pareri dei rappresentanti delle organizzazioni appartenenti al Tavolo agroalimentare di cui all'art. 20 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228. 4. Il Comitato ha, altresi', il compito di proporre le misure relative all'omogeneizzazione delle modalita' di controllo. Le relative misure sono adottate con le modalita' di cui all'art. 3, comma 1. 5. Agli esperti del Comitato non viene corrisposto alcun compenso in aggiunta al gettone di presenza previsto ai sensi della vigente normativa. Alla corresponsione del gettone di presenza, al funzionamento del Comitato e alle connesse attivita', il Ministero delle politiche agricole e forestali provvede, nell'ambito degli ordinari stanziamenti di bilancio, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». La disciplina transitoria e' regolata dall'art. 8 («Norme transitorie») per il quale: «1. per il conseguimento delle finalita' di cui all'art. 1, fino all'adozione dei singoli provvedimenti di cui all'art. 4, le colture transgeniche, ad eccezione di quelle autorizzate per fini di ricerca e di sperimentazione, non sono consentite». 2. - La Regione Marche ha deliberto di impugnare dinanzi a questa Corte il d.l. n. 279/2004, convertito dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5 con particolare, riferimento agli articoli 1, 2, 3, 4, 5 commi 3 e 4, 6, 7 e 8, perche' lesivo dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta e garantita dagli artt. 117, commi 1, 2, lett. s) 3, 4, 5 e 6 Cost. e 118, Cost., anche in relazione agli artt. 9, 32, 33, 72, 76 e 77, Cost. per i seguenti motivi di diritto. 3. - Illegittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 5 terzo e quarto comma, 6, 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004 n. 279, convertito con modifiche nella legge 28 gennaio 2005, n. 5 per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma Cost., con riferimento agli artt. 77, nonche' 72, 76 e 117, primo comma, Cost. Le disposizioni del decreto-legge n. 279/2004, cosi' come convertito dalla legge n. 5 del 2005, pongono, con l'utilizzo della potesta' normativa d'urgenza di cui all'art. 77 Cost., una disciplina diretta ad assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica, in assenza palese dei presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza richiesti dalla norma costituzionale. La presente censura e' sicuramente ammissibile, con riferimento alla lesione delle competenze regionali - invase dalla disciplina impugnata anche per gli ulteriori motivi dedotti nel presente ricorso - in quanto la violazione del corretto procedimento di formazione dell'atto normativo di livello legislativo incide sulla concreta possibilita' da parte della Regione ricorrente di sviluppare la propria autonomia legislativa nella materia oggetto della decretazione d'urgenza. Come si dira' meglio nei successivi motivi di ricorso, la disciplina di livello legislativo introdotta dallo Stato invade la competenza regionale ad attuare i principi e le norme comunitarie in materia di agricoltura. Il decreto legge si basa, infatti, sul presupposto erroneo della necessita' di adeguarsi a principi comunitari vincolanti. Il decreto-legge n. 279/2004 si definisce infatti attuativo «della Raccomandazione della Commissione 2003/556/CE del 23 luglio 2003», provvedimento intitolato «Orientamenti per lo sviluppo di strategie nazionali e migliori pratiche per garantire la coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche», che ha indicato le linee guida per la coesistenza, con atto meramente indicativo e che non comporta «norme giuridicamente vincolanti» per gli Stati membri (Corte di giustizia Comunita' europee, 19 marzo 1998, n. 1/1996, in Racc., 1998, I, 1251), non potendo ledere la loro sovranita' ne' comportare la lesione delle competenze interne statali e regionali (come evidenziato anche dalla recente giurisprudenza della Corte di cassazione, per la quale le "raccomandazioni" emanate dalla Commissione europea costituiscono atti comunitari tipici, non obbligatori, preordinati allo scopo di assicurare il funzionamento e lo sviluppo della comunita' europea, mediante la prospettazione della soluzione che appare preferibile adottare nell'ottica comunitaria e, conseguentemente, essendo privi di carattere vincolante nei confronti del legislatore nazionale, il giudice ordinario non e' tenuto a disapplicare la norma statale che, eventualmente, si ponga in contrasto con esse» (Cass. Civ., 5 dicembre 2003, n. 18620, in Giust. Civ., Mass., 2003, f. 12; nelle discussioni parlamentari relative alla conversione del d.l. n. 279/2004, cfr., anche le osservazioni di G. Russo Spena, «Atti Parlamentari, nella seduta n. 572 del 20 gennaio 2005 - Aula, Camera dei deputati - secondo cui «non appare esatto quanto specificato all'articolo 1, secondo il quale il presente decreto e' emanato in attuazione della raccomandazione della Commissione della comunita' europea 2003/556/CE del 23 luglio 2003. Si attua solo cio' che e' vincolante, infatti, non cio' che e' facoltativo.»). Conferma tutto cio' la stessa Raccomandazione, che il Governo sostiene di «dover» attuare, quando, al punto 1.5, precisa «i presenti orientamenti, sotto forma di raccomandazioni non vincolanti rivolte agli Stati membri ...». Il decreto-legge e' comunque privo dei presupposti di necessita' ed urgenza per la sua emanazione, come risulta dalla semplice constatazione che esso prevede che le regole relative alla coesistenza delle colture agricole transgeniche, convenzionali e biologiche siano rinviate all'adozione di un provvedimento successivo, di livello regolamentare, elaborato sulla base di un piano che le regioni saranno chiamate ad adottare. Si utilizza lo strumento del decreto-legge - per di piu' rinviando in termini ampi ed inammissibili (anche in violazione dell'art. 76 Cost.) a successivi atti del Governo - per disciplinare una materia, come quella della coltivazione a pieno campo degli OGM, che la stessa Direttiva 2001/18/CE dichiara estremamente delicata e rischiosa, tale, in ogni caso, da rendere necessarie attente e prolungate verifiche prima che si concretizzi ogni decisione perche', «gli organismi viventi immessi nell'ambiente in grandi o piccole quantita' per scopi sperimentali o come prodotti commerciali possono riprodursi e diffondersi oltre le frontiere nazionali, interessando cosi' altri Stati membri; gli effetti di tali emissioni possono essere irreversibili» (4° «considerando», Direttiva 2001/18/CE, cit.). A cio' si deve aggiungere che l'adozione della disciplina nelle forme del decreto-legge espropria sia la Regione ricorrente, sia tutti i cittadini e tutti i soggetti interessati del loro diritto di partecipare alla definizione delle regole di coesistenza delle colture in questione. E' stata, infatti, respinta la proposta formulata nel corso della seconda lettura presso il Senato, di attuazione dei principi dettati dalla stessa normativa comunitaria (ed in particolare dagli articoli 9 e 32, nonche' dal decimo considerando, della direttiva 2001/18/CEE), di attivare una consultazione del pubblico, tramite referendum consultivo, prima di giungere alla disciplina legislativa impugnata. L'adozione di una disciplina in via d'urgenza tende, invece, ad escludere l'applicazione ditali principi, ribaditi anche dal protocollo di Cartagena sulla biosicurezza (concluso a Montreal il 29 gennaio 2000 e ratificato dai Paesi dell'Unione europea, nonche' recepito dall'art. 32 della direttiva 2001/18/CE citata), che l'art. 23, comma 2, del protocollo che la legge n. 27 del 15 gennaio 2004 ha esplicitamente attuato, prevedendo che «le parti, in conformita' delle rispettive regole e norme consultano i cittadini nell'ambito del processo decisionale relativo ad organismi viventi modificati». Non sembra, in buona sostanza, ammissibile l'utilizzo della decretazione d'urgenza con riferimento a normative che esigono una forma di consultazione e di dibattito ampio e condiviso, quale quello che si puo' seguire soltanto nel pieno rispetto dell'iter ordinario per l'esercizio delle competenze costituzionalmente attribuite agli organi centrali e agli organi regionali (artt. 72 e 117, primo, terzo e quarto comma, Cost.). 4. - Illegittimita' degli articoli 1, 2, 3, 4, 5 terzo e quarto comma, 6, 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279, convertito con modifiche nella legge 28 gennaio 2005, n. 5, per violazione dell'art. 117, secondo, terzo, quarto e quinto comma Cost., con riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. La disciplina legislativa impugnata e' stata adottata senza che lo Stato avesse individuato una adeguata base normativa, ed inoltre e' stata adottata sulla base di un erroneo presupposto di fatto. La disciplina dettata dal decreto-legge n. 279/2004, nel testo convertito dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5, si fonda, infatti, su un presupposto erroneo, consistente nel ritenere plausibile la coesistenza degli OGM con altre colture convenzionali al fine di «garantire la liberta' di iniziativa economica ed il diritto di scelta dei consumatori», laddove, invece, immessi nell'ambiente, gli OGM inquinano lo stesso irrimediabilmente, togliendo ogni liberta' di iniziativa economica agli agricoltori del prodotto convenzionale e biologico, e divenendo in tal modo scelta irreversibile e incontrollabile (come si desume dalle stesse discussioni parlamentari per la conversione del d.l. n. 279/2004, dove si fa presente che «una volta che ho inquinato con la contaminazione il mio vicino o colui che si trova a duecento metri o anche piu' lontano (vi sono ricerche, secondo le quali la contaminazione puo' avvenire anche a 20 chilometri di distanza e, quindi, di 20 chilometri in 20 chilometri si percorre tutta l'Italia), non si sa quale sara' il risultato della liberazione in ambiente naturale, quindi, non controllabile, degli OGM» (L. Marcora, «Atti Parlamentari», Seduta Camera dei duputati di martedi' 14 dicembre 2004, Resoconto sommario e stenografico, n. 559). La norma di cui all'art. 1, inoltre, che esclude dal quadro normativo minimo per la coesistenza tra le colture transgeniche quelle per fini di ricerca e sperimentazione, «non specifica che la ricerca e la sperimentazione vanno praticate in ambienti confinati» e in via preventiva rispetto ad ogni futura disciplina in merito (Zanella, Assemblea, Resoconto stenografico seduta n. 571 del 19 gennaio 2005, Aula, Camera dei deputati, p. 78). Il «quadro normativo minimo per la coesistenza» di cui parla l'art. 1, della legge, prescinde, infatti, completamente dal valore fondamentale della ricerca scientifica e della sperimentazione. Il che significa che tale «quadro» non tiene in alcun conto la imprescindibile verifica sulla valutazione dell'impatto ambientale, economico e agronomico conseguente all'introduzione delle coltivazioni transgeniche, sulla messa a punto e l'adozione di specifiche tecniche e misure volte a valutare tale coesistenza, nonche' sulla possibilita' di isolare sistemi di coltivazione di prodotti GM senza inquinare quelli non GM. In altri termini, tali attivita' di ricerca e sperimentazione debbono necessariamente precedere l'introduzione della citata «coesistenza» e non seguirla, come avverrebbe ove si procedesse alla libera applicazione della legge in esame. Nella stessa legge manca, oltretutto, un espresso riferimento alla verifica piu' importante, preliminare ad ogni altra, e, cioe', quella sulla irreversibilita' dell'inquinamento dell'ambiente e dell'agricoltura una volta introdotti gli OGM, in quanto, se accertata renderebbe inutile ogni accorgimento produttivo e superfluo ogni provvedimento ulteriore, compresa la normativa sull'etichettatura dei prodotti da avviare al consumo. Se cosi' fosse (e lo stato attuale delle ricerche scientifiche e relative sperimentazioni in materia induce a ritenere irreversibile detto inquinamento) sarebbe proprio la liberta' di scelta del consumatore a venir meno, stante l'inquinamento irreversibile con OGM di ogni prodotto agricolo destinato al consumo, cosi' come verrebbe meno la «liberta' di iniziativa economica», dal momento che la stessa non appartiene solo a chi vuole coltivare gli OGM, ma anche a coloro che vogliono continuare a coltivare il prodotto convenzionale e biologico. Da tale irreversibilita' ne uscirebbe, altresi', pregiudicato, in maniera gravissima, anche l'ambiente e l'ecosistema. Ne' sarebbe possibile sostenere l'inammissibilita' del motivo fondato sulla violazione dell'art. 117, comma secondo, lett. e) ed s), Cost. in quanto si tratterebbe di materie di esclusiva competenza statale. Infatti, la regione ha il diritto-dovere e, quindi, l'interesse ad intervenire, nel caso di inadempimento statale, a tutela della popolazione di cui la stessa e' espressione in ordine a materie e valori costituzionalmente garantiti. La stessa disciplina comunitaria afferma che gli effetti dell'emissione nell'ambiente di organismi geneticamente modificati possono essere irreversibili e che la tutela della salute umana, animale e vegetale dell'ambiente deve essere assicurata sia secondo i principi della prevenzione e della precauzione che secondo i principi etici riconosciuti in uno Stato membro, prendendo in esame tutti gli effetti negativi possibili (diretti, indiretti, immediati, differiti e cumulativi a lungo termine) determinata dall'immissione deliberata di OGM, fornendo garanzia agli agricoltori che producono nell'ambito di produzione a qualita' certificata, consentendo a questi ultimi, che hanno scelto un'agricoltura convenzionale, di difendere dall'inquinamento genetico le proprie colture (vedi in tal senso sia la Direttiva del Parlamento del Consiglio 2001/18/CE del 12 marzo 2001, sia la stessa Raccomandazione del 23 luglio 2003 dell'Unione europea). L'adozione di una disciplina statale di attuazione dei principi comunitari e' di per se' illegittima ove intenda impedire che nell'ambito di ciascuna Regione si possano individuare criteri di esclusione delle colture transgeniche, in considerazione delle particolari condizioni del territorio regionale che rendono inevitabile la contaminazione e quindi impossibile la coesistenza, e che si possono risolvere nel porre il divieto della coltura transgenica come l'unica forma di tutela delle filiere di produzione agricola non transgeniche e l'unica soluzione per garantire uno sviluppo rurale che consenta la biodiversita' e la libera scelta dei consumatori. Il d.l. n. 279/2004, intervenendo (come sara' ulteriormente sottolineato nel successivo motivo di ricorso) con le disposizioni censurate, nella materia «agricoltura», invade lo spazio di competenza delle regioni nell'attuazione del diritto comunitario garantito dall'art. 117, quinto comma, Cost. Lo Stato, in altri termini, non e' legittimato ad esercitare la propria funzione legislativa con la finalita' di attuare la normativa comunitaria al di fuori delle materie attribuite in via esclusiva dall'art. 117, secondo comma, Cost. In definitiva, lo spazio di intervento regionale nell'attuazione del diritto comunitario non puo' essere leso proprio per garantire l'attuazione delle linee poste dalla stessa Raccomandazione n. 2003/556/CE del 23 luglio 2003 richiamata dal d.l. n. 279/2004, che, si ribadisce, espressamente sottolinea che «le strategie e le migliori pratiche devono essere elaborate e attuate a livello nazionale o regionale» (art. 1.4), in osservanza pertanto del riparto di competenze previsto dalla Costituzione. 5. - Illegittimita' degli articoli 1, 2, 3, 4, 5 terzo e quarto comma, 6, 7 e 8 del 22 novembre 2004, n. 279, convertito con modifiche dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5 per violazione dell'art. 117, con particolare riferimento al terzo e quarto comma, Cost. La disciplina impugnata si pone in contrasto con la competenza residuale delle regioni nella materia agricoltura, a norma dell'art. 117, quarto comma Cost. (riconosciuta anche di recente da questa Corte nella sentenza 28 luglio 2004, n. 282, punto 3 parte in diritto, per la quale la competenza regionale residuale garantita dall'art. 117 Cost. «si presta a comprendere molti aspetti della disciplina del settore agricolo (quarto comma)»). E' pacifico che la disciplina relativa alle colture transgeniche e alla loro compatibilita' con le altre colture rientra nella materia agricoltura, che ha al suo centro il fenomeno produttivo di base, e le attivita' definite dal codice civile all'art. 2135, come attivita' agricole correlate con la coltivazione del fondo, la silvicoltura e l'allevamento, nonche' l'insieme delle attivita' disciplinate dalle norme di diritto pubblico che riguardano le condizioni ambientali indispensabili per lo svolgimento della produzione agricola. Del resto la nozione di agricoltura, come materia, si e' affermata attraverso il rinvio alla nozione comunitaria di «politica agricola» ed in particolare all'art. 32 del Trattato dell'Unione europea (per il quale il mercato comune comprende l'agricoltura e il commercio dei prodotti agricoli, intendendosi per prodotti agricoli i prodotti del suolo, dell'allevamento e della pesca, come pure i prodotti di prima trasformazione che sono in diretta connessione con tali prodotti, cosi' come enumerati nell'elenco di cui all'allegato I del Trattato). Il contenuto minimo della materia e' quindi correlato al dato naturalistico del fenomeno produttivo, diretto e indiretto, immediato o mediato, di prodotti alimentari per uomini ed animali. Risulta quindi evidente come la immissione nella realta' territoriale della coltura e delle tecniche di produzioni transgeniche non possa non essere classificata all'interno della materia «agricoltura» di competenza residuale del legislatore regionale. Si deve anche aggiungere che proprio l'appartenenza della attivita' disciplinata alle attivita' riconducibili alla produzione agricola implica la necessita' di tener conto delle realta' territoriali specifiche, che solo il legislatore regionale e' in grado di considerare adeguatamente. Ed infatti, la regolazione della produzione transgenica non puo' non tener conto delle diversita' territoriali, in taluni casi contraddistinte da una stretta interazione fra aree coltivate ed aree naturali e boschive, in altri casi condizionate da una dimensione aziendale «tale che la coesistenza non e' materialmente possibile per il grave danno economico derivante dal mantenimento di una fascia di rispetto che ridurrebbe pesantemente l'area coltivabile con prodotti vendibili come biologici o con segni di qualita» (Vicini, Seduta Aula, Senato n. 725 del 25 gennaio 2005, Resoconto stenografico, p. 12), per cui «dovrebbero essere i territori, dal basso, ad effettuare le scelte piu' opportune su tale delicata materia, in modo coordinato e razionale» (ivi, p. 12), secondo quanto evidenziato dalla stessa Raccomandazione 2003/556/CE del 23 luglio 2003, per la quale la gestione delle colture OGM deve tener conto «delle diferenze a livello regionale (condizioni climatiche, topografia, modelli produttivi, sistemi di rotazione, strutture aziendali, quota di colture Gm in una data regione) che possono influenzare il grado di commistione tra colture Gm e non Gm» (art. 2.1.6. - Specificita' delle misure - della Raccomandazione 2003/556/CE), il che comporta che «le strategie e le migliori pratiche devono essere elaborate e attuate a livello nazionale o regionale, con la partecipazione attiva degli agricoltori e degli altri soggetti interessati e tenendo conto di fattori nazionali e regionali» (art. 1.4. - Sussidiarieta' - della Raccomandazione 2003/556/CE). Non e' quindi un caso che la competenza regionale sulla gestione delle agrobiotecnologie abbia trovato conferma con la riforma costituzionale operata tramite la formulazione del nuovo titolo V della Costituzione, che ha attribuito alle regioni la competenza esclusiva nella materia «agricoltura» (art. 117, quarto comma, Cost.). E', infatti, evidente che solo le regioni possono adottare le misure necessarie ad assicurare la coesistenza tra forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica, «stabilendo le aree «OGM free», le quote di colture OGM, il numero ed il tipo di varieta' vegetali che devono coesistere, le distanze tra le aree a coltivazione transgenica e quelle a coltivazione convenzionale, le pratiche regionali di gestione delle imprese agricole, nonche' promuovere la stipula di contratti tra gli agricoltori al fine di favorire la coesistenza tra le differenti forme di agricoltura nel territorio e nelle filiere alimentari» (Vicini, Seduta Aula Senato n. 725 del 25 gennaio 2005, Resoconto stenografico, p. 12). Di qui l'illegittimita' per violazione dell'art. 117, quarto somma, Cost. dell'art. 1 del d.l. n. 279/2004, nel testo convertito dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5, laddove «definisce il quadro normativo minimo per la coesistenza tra le colture transgeniche, escluse quelle per fini di ricerca e sperimentazione, nonche' quelle convenzionali e biologiche, al fine di garantire la liberta' di iniziativa economica e il diritto di scelta dei consumatori» (art. 1, primo comma) e delle successive norme che ne specificano i contenuti. L'incompetenza del legislatore statale si deve contestare in particolare: per l'art. 2, che, nel rispetto del principio di coesistenza, specifica che l'introduzione degli OGM non deve comportare l'obbligo di modificare o adeguare le normali tecniche di coltivazione e allevamento (secondo comma) ed esige che «le coltivazioni transgeniche sono praticate all'interno di filiere di produzione separate rispetto a quelle convenzionali e biologiche» (terzo comma): si tratta di disciplina dell'attivita' agricola che solo la Regione puo' dettare; per l'art. 3, nella parte in cui demanda all'adozione di un decreto ministeriale la stessa definizione delle norme quadro (primo comma), nonche' nella parte in cui limita le regioni nell'individuazione delle aree omogenee (secondo comma); in quanto si attribuisce ad un organo statale una competenza che limita le autonome scelte del legislatore regionale; per l'art. 4, nella parte in cui prescrive l'adozione del piano di coesistenza (primo comma), nonche' la promozione di accordi tra conduttori agricoli (secondo comma); per l'art. 5, nella parte in cui prescrive l'elaborazione di un piano di gestione aziendale e la conservazione di appositi registri aziendali (terzo comma) e nella parte in cui prescrive la definizione delle procedure e delle modalita' per la raccolta e la tenuta dei dati ricavabili dai registri aziendali di cui al terzo comma (quarto comma); per l'art. 8, laddove circoscrive il divieto delle colture transgeniche sancendone la transitorieta': tutte norme, queste citate nel presente capoverso, che dettano una disciplina di dettaglio per le attivita' di produzione agricola che solo il legislatore regionale puo' definire. La stessa composizione del Comitato consultivo in materia di coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche stabilita dall'art. 7 - quattro rappresentanti delle regioni, altrettanti del Governo (due designati dal Ministero delle politiche agricole e forestali, uno dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio ed uno dal Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie), due designati dalla Conferenza dei rettori e due dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA) - privilegiando la rappresentanza di membri statali rispetto a quelli regionali nonche' individuando nello stesso Comitato l'organo competente a proporre le linee guida ai fini dell'adozione del decreto di cui all'art. 3, che dovra' definire le norme quadro per la coesistenza, effettua una palese sottrazione alle regioni (titolari della competenza legislativa esclusiva in materia «agricoltura» e di competenza legislativa concorrente sull'«alimentazione»), del controllo del settore, riservando agli organi regionali solo un ruolo esecutivo marginale nella regolazione degli OGM e sul loro impatto sull'attivita' e le produzioni agricole. Di qui la denunciata violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. 6. - Illegittimita' degli articoli 1, 2, secondo comma, 3, secondo comma, 5, terzo e quarto comma, 7, quarto comma e 8 del 22 novembre 2004, n. 279 nel testo convertito dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5, per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, anche in relazione all'art. 117, secondo comma lett. s), Cost., nonche' in relazione agli articoli 9, 32 Cost. e 33 Cost. In ogni caso, la normativa impugnata invade lo spazio di intervento delle regioni nella materia del diritto alla salute, di competenza concorrente a norma dell'art. 117, terzo comma Cost., che legittima lo Stato alla sola formulazione dei principi fondamentali della materia (sentenza 26 gennaio 2005, n. 30, punto 3 parte in diritto, per la quale «nelle materie di potesta' concorrente la normativa statale deve limitarsi alla determinazione dei principi fondamentali, spettando invece alle regioni la regolamentazione di dettaglio, trattandosi di fonti tra le quali non vi sono rapporti di gerarchia, ma di separazione di competenza»). E', al contrario, evidente che le disposizioni impugnate non definiscono principi, ma prescrivono misure puntuali e dettagliate, laddove stabiliscono che «le coltivazioni transgeniche sono praticate all'interno di filiere di produzione separate rispetto a quelle convenzionali e biologiche» (art. 2, secondo comma), che le regioni e le province autonome «possono individuare nel loro territorio una o piu' aree omogenee» (art. 3, secondo comma), la tenuta e la raccolta di registri aziendali con le informazioni relative alle misure di gestione aziendale (art. 5, terzo e quarto comma), le modalita' delle misure relative all'omogeneizzazione delle stesse modalita' di controllo (art. 7, quarto comma), l'arco temporale del divieto delle colture transgeniche (art. 8). Si osserva, inoltre, che la «liberta' di iniziativa economica e privata» pur costituendo uno dei fini della normativa introdotta, sacrifica la stessa tutela della salute e della ricerca scientifica, e percio' rende le norme impugnate in grado di ledere dei valori costituzionalmente garantiti, e percio' illegittime (come chiarito da questa Corte, nella sentenza 26 gennaio 2005, n. 31, punto 3 parte in diritto, per la quale «questa Corte, nella sentenza n. 423 del 2004, ha affermato che la ricerca scientifica deve essere considerata non solo una "materia", ma anche un "valore" costituzionalmente protetto (art. 9 e 33 della Costituzione), in quanto tale in grado di rilevare a prescindere da ambiti di competenze rigorosamente delimitati»). In particolare, l'art. 1 del d.l. n. 279/2004, prevedendo il quadro normativo minimo per la coesistenza non tiene conto del valore fondamentale della ricerca scientifica, le cui valutazioni avrebbero dovuto essere considerate in via preliminare per la necessaria verifica dell'impatto ambientale che deriva dall'introduzione degli OGM, anche sotto il profilo dell'irreversibilita' dell'inquinamento cosi' provocato. Lo stesso Comitato economico e sociale dell'Unione europea, «nel parere espresso lo scorso 11 gennaio, ha ritenuto che nel territorio italiano la coesistenza costituisca un obiettivo estremamente costoso e, di fatto, impraticabile, posto che, allo stato, non sono ancora disponibili studi approfonditi e sufficientemente affidabili relativi all'impatto ambientale degli organismi geneticamente modificati sulla flora autoctona e la biodiversita» (De Petris, seduta 282, 25 gennaio 2005, Commissione agricoltura e produzione agroalimentare, Senato). Di qui la violazione di altro valore costituzionalmente protetto, la tutela dell'ambiente, che non puo' essere prerogativa esclusiva dello Stato laddove incida su interessi di competenza regionale. Questa Corte, anche di recente, ha precisato che «secondo l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e dei beni culturali. Tuttavia questa Corte ha precisato che non tutti gli ambiti specificati nel secondo comma dell'art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come «materie» in senso stretto, poiche', in alcuni casi, si tratta piu' esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralita' di materie, ed ha escluso la configurabilita' di una "materia" riconducibile in senso tecnico in via esclusiva alla «tutela dell'ambiente», qualficando l'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che possono ben essere regionali, spettando allo Stato il compito di fissare standard di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale (sentenze n. 96 del 2003 e n. 407 del 2002)» (Corte costituzionale, 22 luglio 2004, n. 259, punto 2 parte in diritto; v., in precedenza, sentenze n. 307 del 7 ottobre 2003, n. 407 del 26 luglio 2002, n. 222 del 24 giugno 2003). 7. - Illegittimita' del d.l. 22 novembre 2004, n. 279, in relazione agli articoli 3, comma 1, 4, comma 3-bis, 7, commi 2 e 4, per violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost. e in relazione agli articoli 5, terzo e quarto comma e 7 per violazione dell'art. 118 Cost. Violazione art. 76 Cost. 7.1. - Il d.l. n. 279/2004 viola l'art. 117, sesto comma, Cost., nella parte in cui demanda ad un decreto ministeriale l'individuazione delle «norme quadro per la coesistenza» (art. 3, primo comma), dovendosi escludere la possibilita' per lo Stato di intervenire nella materia oggetto di intervento (agricoltura) con atti normativi di rango sublegislativo, «anche alla luce di quanto espressamente disposto dall'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il quale stabilisce che «nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, non possono essere adottati gli atti di indirizzo e di coordinamento di cui all'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e all'art. 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112» (Corte costituzionale, 27 ottobre 2003, n. 329, punto 4 della parte in diritto). Se con tale successivo provvedimento del Governo, di natura giuridica non chiara ed incerta, il Governo medesimo intende autodelegare se stesso, superando il dettato dell'art. 15, comma 2, lett. a), della legge n. 400 del 1988, che vieta il conferimento di deleghe legislative tramite decreto-legge, e' necessario far rilevare che, per l'art. 76 della Costituzione, solo con legge ordinaria di delega il Governo puo' attivare propri interventi legislativi successivi delegati. Anche questa Corte (con la sentenza n. 63 del 17 marzo 1998) ha puntualizzato che «l'atto di conferimento al Governo di delega legislativa puo' avvenire solo con legge» (punto 7.3 della parte in diritto). Ne' puo' aver rilevanza la precisazione della norma che si tratta di un decreto «non regolamentare» (art. 3, primo comma), dal momento che tale formulazione, oltre a confermare la del tutto anomala fonte del diritto che si vuole introdurre, non puo' giustificare tout court la negazione del carattere regolamentare a detto decreto «poiche' la mancata indicazione espressa della natura regolamentare non puo' assumere valore decisivo ai fini della relativa qualificazione normativa» (Cons. Stato, Ad. Gen., 26 settembre 1996, n. 135). Il decreto ministeriale previsto non puo' neppure essere considerato mero atto di coordinamento tecnico dal momento che interviene per individuare previsioni legislative che si traducono in «norme quadro per la coesistenza» (C. Franci, «Atti Parlamentari», seduta Camera dei deputati n. 572 del 20 gennaio 2005, evidenzia, al riguardo, che «Il Governo, con questo emendamento, cerca di risolvere parzialmente il problema, precisando che si tratta di un decreto di natura non regolamentare, tentando in tal modo, di dare risposta alle osservazioni che anche la prima Commissione rivolge al provvedimento, e che troviamo allegata al testo in esame. La Commissione affari costituzionali afferma, infatti, che "(...) considerato che, dopo l'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, (...) e' venuta meno per lo Stato la possibilita' di emanare atti di indirizzo e coordinamento nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione (...) e che la Corte costituzionale, nelle sentenze n. 376 del 2003 e n. 17 del 2004, ha avviato un indirizzo giurisprudenziale che sembra consentire allo Stato, in relazione alle materie rientranti, a titolo sia residuale che concorrente, nella competenza regionale, soltanto l'adozione di atti di mero coordinamento tecnico (...)". Un decreto ministeriale certo non sarebbe un atto di mero coordinamento tecnico»). Ne' e' in alcun modo sostenibile che le norme previste dal decreto impugnato costituiscano mere norme tecniche. Cio' non solo perche' si riferiscono a discipline complesse, ma chiaramente connesse a scelte discrezionali ed a valutazioni comparative tra gli interessi in gioco; ma anche perche' le stesse modalita' della loro produzione (in particolare la previsione dell'accordo o intesa con le regioni) implica la sicura ammissione della natura di disciplina normativa e non di scelta tecnica che le previsioni sulla «coesistenza» dovranno assumere. Del resto la giurisprudenza di questa Corte «in diverse occasioni, ha avuto modo di evidenziare come - gia' sotto la vigenza del vecchio testo dell'art. 117 della Costituzione - lo Stato non potesse imporre vincoli alle regioni nelle materie di propria competenza se non mediante una legge, e non, invece, per mezzo di un atto regolamentare. Le regioni, infatti, «non sono soggette, in linea di principio, alla disciplina dettata con i regolamenti governativi (sentenza n. 507 del 2000; nello stesso senso, si vedano anche le sentenze n. 250 del 1996 e n. 482 del 1995)» (Corte costituzionale, 22 luglio 2003, n. 267, punto 3 parte in diritto). 7.2. - Analoga violazione si rinviene: nell'art. 4, comma 3-bis, laddove demanda allo stesso decreto previsto dall'art. 3 l'individuazione delle modalita' di funzionamento dell'apposito fondo per indennizzare i danni causati dall'inquinamento genetico; nell'art. 7, comma 2, che demanda ad un decreto ministeriale l'organizzazione e le modalita' di funzionamento del Comitato consultivo in materia di coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche istituito dal primo comma dello stesso art. 7; nell'art. 7, comma 4, che demanda al decreto ministeriale di cui all'art. 3, primo comma l'adozione delle modalita' per le misure relative all'omogeneizzazione delle modalita' di controllo. Per quanto concerne la norma di cui all'art. 6 (sanzioni), vertendo, come evidenziato, nella materia agricoltura, di competenza residuale, e' proprio questa Corte ad aver chiarito che «e' orientamento saldo nella giurisprudenza di questa Corte che la competenza sanzionatoria amministrativa non e' in grado di autonomizzarsi come materia in se', ma accede alle materie sostanziali (cfr. sentenze n. 361 del 2003; n. 28 del 1996; n. 85 del 1996; n. 187 del 1996; n. 115 del 1995; n. 60 del 1993)» (Corte costituzionale, 13 gennaio 2004, n. 12, punto 4 parte in diritto). Di qui l'illegittimita' costituzionale anche di queste previsioni della legge impugnata, per contrasto con le norme indicate in rubrica. Sempre sotto il profilo della violazione degli artt. 117, sesto comma e 118 Cost., si devono denunciare le norme di cui agli articoli 5, terzo, e quarto comma, sulla tenuta dei registri per le informazioni relative alle misure di gestione adottate e di cui all'art. 7, che, per l'attivita' di monitoraggio, informazione e valutazione, istituisce presso il Ministero delle politiche agricole e forestali il Comitato consultivo in materia di coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche, disciplinando funzioni amministrative relative ad una materia di competenza legislativa regionale. Infatti, «come questa Corte ha gia' piu' ampiamente argomentato (cfr. sentenze numeri 43, 69, 70, 71, 72, 73 e 112 del 2004), con l'avvenuta riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, i mutati criteri di riparto delle funzioni amministrative si sono articolati, per un verso, nell'attribuzione generale delle stesse all'ente comunale e, per l'altro, nella flessibilita' assicurata al sistema della clausola in base alla quale si prevede, al fine di "assicurarne l'esercizio unitario", il conferimento di funzioni amministrative a province, citta' metropolitane, regioni e Stato, "sulla base dei principi di sussidiarieta', e differenziazione ed adeguatezza" (art. 118, primo comma, della Costituzione). Sulla scorta della compenetrazione tra questi due criteri, la concreta allocazione delle funzioni amministrative ai vari livelli di governo non puo' prescindere da un intervento legislativo (statale o regionale, a seconda della ripartizione della competenza legislativa in materia), che deve, di volta in volta, manifestare la prevalenza del criterio generale di allocazione al livello comunale ovvero la necessaria preminente considerazione di esigenze unitarie che impongono una allocazione diversa» (Corte costituzionale, 11 giugno 2004, n. 172, punto 4.1 parte in diritto). Nessuna giustificazione adeguata e nessuna competenza legislativa statale e' in grado di giustificare sotto il profilo denunciato le norme di cui agli artt. 5, commi 3 e 4, nonche' 7 della legge impugnata. 7.3. - Ancor piu' la disciplina impugnata e' da ritenere illegittima, in quanto, in materia di competenza regionale, individua una modalita' dell'intervento normativo attuativo, che sottrae alle regioni la stessa scelta della fonte del diritto da adottare, imponendo un procedimento speciale nel quale solo parzialmente (ed in termini vincolati, sia nella forma sia nella tipologia degli atti) le regioni possono partecipare. Cio' vale sia per la previsione dell'art. 3 («Applicazione delle misure di coesistenza»), sia, in particolare, per la previsione di cui all'art. 4 («Piani di coesistenza») che detta le modalita' con le quali la regione deve adottare «provvedimenti» che definiscano i piani di coesistenza. La disciplina statale e' illegittima sia nel prevedere i modi di adozione di tali provvedimenti, sia nello stabilire che solo con un «provvedimento» e non con una legge (come discrezionalmente e nel rispetto dei principi internazionali e comunitari in materia sarebbe possibile) le regioni possano adottare tali piani.